TURANDOT (1920-1924)
Lasciata incompiuta da Giacomo Puccini e completata da Franco Alfano
Librettisti, Giuseppe Adami, Renato Simoni
Antefatto: nonostante che, durante un viaggio a Londra nel 1919, Puccini vide molte opere, molte delle quali gli avrebbero potuto suggerire un opera a tema cinese, Puccini apparentemente ebbe l’idea di traslare la tragi-commedia di Carlo Gozzi, Turandotte, scritta intorno al 1763, in opera, durante un incontro a pranzo a Milano con due librettisti, con i quali stava lavorando ad un altro progetto. Uno di loro, Renato Simoni, aveva scritto precedentemente una commedia su Gozzi, e suggerì a Puccini di esaminare le opere di Gozzi. Puccini conosceva già la Turandotte, e venne preso dall’idea di procedere con Simoni e Giuseppe Adami, il suo librettista de La Rondine e Il Tabarro, ad un’opera molto grande ed importante. Nel Luglio 1920 invitò Adami e Simoni a Bagni di Lucca, dove stava trascorrendo parte dell’estate, per ascoltare alcuni brani cinesi registrati in un carillon che apparteneva ad un amico, collezionista di arti cinesi e che si era portato dietro dall’Estremo Oriente.
Dopo questo incontro a Bagni, i librettisti cominciarono a creare un testo sullo scenario sul quale Puccini aveva chiesto loro di scrivere, alcuni mesi addietro. Anche se Puccini non era sicuro che avrebbe proceduto con quest’opera, poiché era preso dai suoi soliti dubbi e paure. Dall’inizio del 1921, si sentiva più che intimidito dal soggetto, dato che sembrava così grande e difficoltoso, ma i tre contraffatti più importanti che Puccini aveva deciso di mettere da parte gli altri progetti in favore di Turandot. Fu durante il 1921 che divenne così aggravato dall’aggiunta di una rumorosa fabbrica di torba vicino a lui a Torre del Lago, che dovette, riluttante, trasferirsi a Viareggio, avendo costruito una nuova casa lì. Nonostante non volesse completamente abbandonare il suo amato lago e andasse a trovare spesso i suoi amici lì, non fu più in grado di godersi la pace e la tranquillità della usa case sulle rive del lago. Dal 1923, fu chiaro che il compositore era malato, affetto non solo dal diabete, ma anche da un male alla gola, che gli venne diagnosticato poi come tumore. Come al solito, bombardò i suoi librettisti con richieste e domande di revisione del testo, spesso non avendo notizie da loro per settimane dato che erano scrittori di successo entrambi, con altri progetti per le mani. Normalmente, Puccini non componeva senza testo, ma talvolta con Turandot aveva composto la musica e chiesto poi di avere i versi da far aderire alla sua composizione. Si sentiva molto pressato dal completare quest’opera, sentendo profondamente vicina, la fine della sua vita. Dal 1924, Puccini non poteva aspettare di sentirsi “libero” da Turandot, sentendosi infelice riguardo ai progressi del suo lavoro, che come al solito, andava a rilento. Dalla primavera, mentre stava aspettando soltanto il duetto amoroso finale, dai suoi librettisti, sentiva anche di aver fatto un buon lavoro per quanto riguardava tutta l’opera. Da questo momento, i suoi problemi alla gola divennero un tormento: provando continuamente dolore, avendo sopportato una serie di diagnosi errate, il suo stato di salute generale peggiorò. Tossiva costantemente, i suoi amici erano spaventati dal suo sembrare vecchio e malato. Il cancro gli venne, infine, diagnosticato nell’Ottobre del 1924, da uno specialista di Firenze, che consigliò a Puccini di andare a Brussels per un trattamento radiologico. Durante questo periodo Puccini aveva lavorato duramente con i suoi librettisti e con Toscanini, che Puccini voleva dirigesse la prima, per completare il terzo atto. Non era ancora contento del finale, e quando fece il viaggio a Brussels, portò con sé i suoi spartiti del finale di Turandot, credendo di poter lavorare in clinica. Puccini rimase ottimista durante i suoi trattamenti dolori, sebbene, dopo un intervento subito il 24 Novembre, la salute del Maestro subì un grande peggioramento. Morì la mattina del 29 Novembre del 1924, di attacco di cuore. Poiché l’opera era incompleta, venne lasciata a Toscanini e a Casa Ricordi, la casa editrice, il compito di decidere come finire il lavoro. L’editore elesse Franco Alfano per il lavoro, una scelta precedentemente condivisa da Toscanini e dal figlio del compositore, Antonio. Alfano era un insegnante e compositore di talento, e aveva avuto un rispettabile successo con le sue opere. Terminò la Turandot di Puccini, basandosi sulle note del compositore stesso e sui frammenti, e l’opera fu rappresentata per la prima volta a Milano, a La Scala il 25 Aprile 1925. Toscanini portò la prima rappresentazione fino alla fine, senza continuare con il finale di Alfano e buttando giù la bacchetta e girandosi al pubblico, dicendo queste parole: “qui l’opera finisce, perché a questo punto, il Maestro morì”. Ad ogni modo, nelle rappresentazioni a seguire, durante la stagione, condusse l’opera nella sua interezza, e certamente, nello stesso modo in cui noi l’ascoltiamo adesso.
Sinopsi: La fredda e bella principessa Turandot ha fatto un voto, che lei sposerà soltanto un uomo di nobili origini, capace di rispondere ai tre indovinelli che gli porrà. Molti furono i pretendenti che provarono in vano a ottenere la mano della Principessa, ma la punizione per il fallimento era la morte. Una grande folla si era riunita per assistere alla decapitazione dell’ultima vittima, e tra loro c’era anche Timur, il re tartaro spodestato, e la sua giovane schiava, Liù. Tra la folla, trovarono Calaf, il figlio di Timur, che credevano morto in battaglia. L’esecuzione sta per cominciare, e la folla chiede la grazia per l’ultima vittima, ma Turandot appare e ordina che l’uomo muoia. Calaf viene rapito dalla sua bellezza, e decide di provare a conquistarla, rispondendo agli indovinelli. Improvvisamente, appaiono tre comiche figure.: sono Ping, Pong e Pang, ministri della corte, che tentano di dissuadere Calaf dal suonare il gong che annuncerà l’arrivo di un nuovo pretendente. Ma Calaf è risoluto: vuole sciogliere il freddo cuore di vergine. Il processo comincia: uno per uno, Calaf da la risposta corretta ai tre indovinelli che la Principessa pone. Turandot è mortificata e si volta all’Imperatore pregandolo di non maritarla allo straniero, ma lui insiste che il sacro giuramento deve essere portato a termine. Calaf, che vuole l’amore della Principessa, le racconta che se scoprirà il suo nome prima dell’alba, sarà sciolta dalla promessa di matrimonio. Come scende la notte, Turandot decreta che nessuno dorma fin tanto che non scoprirà il nome del Principe. I tre ministri, che tentare Calaf con delle giovani tentatrici, con tesori e gloria, ma lui rifiuta. Le guardie conducono Timur e Liù di fronte a Turandot che ordina che Liù venga torturata, poiché la giovane schiava dichiara di sapere lei sola il nome dello straniero. Ad ogni modo, l’amore segreto di Liù per Calaf le dona forza, e si uccide con un coltello piuttosto che dire il suo nome alla crudele principessa. Quando il suo corpo viene portato via, con una processione funebre, Calaf e Turandot sono lasciati soli e il Principe la rimprovera per la sua crudeltà e il suo freddo cuore. Insistendo sul fatto che l’amore potrebbe renderla umana, la prende tra le sue braccia e la bacia appassionatamente, trasformando la Principessa, e facendole ammettere di amarlo a sua volta. Calaf le rivela il suo nome, e mentre albeggia e le persone di affollano, la principessa dice loro il suo nome: è Amore. La folla saluta e la coppia si sposa.
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